Intervista a Francesco Bruno, bandoneón.

Da Trieste a Parma passando per Rotterdam per amore del bandoneón.

Quando ancora vivevo in Italia iniziai a cercare un insegnante di bandoneón per studiare con un maestro. Come sanno benissimo i bandoneónisti italiani, gli insegnanti nel Bel Paese sono pochi e non sempre sono veramente validi.

Ebbi quindi l’occasione di entrare in contatto con il Maestro Francesco Bruno che vive a Parma ed è diplomato in bandoneón al CODARTS di Rotterdam, dove ha studiato con Victor Villena. La mia esperienza di studio con Francesco è durata più di un anno, ovvero finché poi decisi di partire per approfondire lo strumento a Buenos Aires. In quelle lezioni Francesco è riuscito a farmi capire la tecnica e a farmi amare ancora di più lo strumento e la musica in generale.

È quindi un grande piacere per me presentarvi uno dei più interessanti bandoneónisti della scena contemporanea, un magnifico insegnante oltre che un caro amico: signore e signori, Francesco Bruno!

Indice dei Contenuti

Ciao Francesco, allora, raccontaci: che cosa è per te il bandoneón?

Il bandoneón rappresenta il mio legame con il tango, un legame nato prima con il ballo che poi è maturato ad un livello più profondo attraverso la musica. Tra il musicista e il suo strumento si crea un legame intimo e perfino personale, una affinità tra la sua personalità e il tipo di musica che si suona.

Volendo analizzare più in profondità questo aspetto, forse il bandoneón è lo strumento che meglio si adatta alla mia personalità. Così come il tango, la mia indole è ricca di contrasti, cambi di atmosfera, emozioni talvolta opposte. Nel mio animo si accendono note lunghe, profonde, acute, sussurrate, squillanti, accenti staccatissimi, fraseggi irregolari. Tutto questo fa parte del vocabolario del Tango e il bandoneón lo riesce ad esprimere in maniera naturale.

Inoltre è uno strumento che si abbraccia, balla con me. Quando l’ho suonato la prima volta ho capito perchè avevo lasciato il pianoforte molti anni prima, il pianoforte non lo potevo abbracciare. Mi piace comunque cercare di non dimenticare che il bandoneón è uno “strumento”, non è il fine, in un certo senso è un utensile che serve a costruire qualcos’altro.

Come hai scoperto il bandoneón?

Circa vent’anni fa lavoravo come ricercatore in Fisica dei Materiali al Sincrotrone di Trieste. Avevo studiato musica fin da bambino, poi il pianoforte al Conservatorio ma, arrivato all’Università, aveva prevalso l’entusiasmo per la scienza. Poi quasi per caso ho iniziato a ballare, prima i caraibici e poi il tango argentino.

È stato il tango a far rinascere il mio desiderio di suonare. Prima ho ripreso il pianoforte, poi quando ho preso in mano per la prima volta un bandoneón, un Premier nero del mio amico Giorgio Marega, ho capito che quello era il mio strumento.

Raccontaci la tua esperienza di studio a Rotterdam.

Nel 2006 ho comprato il mio primo strumento, un Gutjahr nuovo molto semplice. Poco tempo dopo, a causa di un infortunio alla gamba, mi sono ritrovato bloccato a casa per tre mesi con molto tempo a disposizione, e mi sono messo a studiare davvero.

Sei mesi dopo ho lasciato il mio lavoro e mi sono iscritto al Codarts, il Conservatorio di Rotterdam dove c’è una Accademia dedicata al Tango Argentino e al bandoneón. Mi sono trasferito in Olanda per l’intero corso di studi di 4 anni. Potrei parlare a lungo di quegli anni.

Uno degli aspetti che ho apprezzato molto e che mi piace ricordare qui è la capacità di quel sistema formativo di essere sempre collegato alla realtà della vita vera di un musicista: dopo pochi mesi ho fatto il primo concerto con l’Orquesta Tipica della scuola; si fa continuamente pratica di trascrizione e di arrangiamento, si fa moltissima musica d’insieme ed è incoraggiata l’iniziativa degli studenti nel proporre il repertorio e le collaborazioni interne.

Inoltre il Dipartimento di Tango convive a stretto contatto con quelli di altri generi usualmente catalogati come World Music, il flamenco, la musica latina, la musica classica indiana e turca e questo genera continuamente nuovi stimoli; ad esempio per un corso di pedagogia, come esercitazione pratica, davo lezioni di bandoneón a una studentessa di musica indiana che a sua volta mi insegnava un po’ il sitar.

Parlaci della tua esperienza con Tango Spleen.

La mia esperienza con Tango Spleen inizia ancora prima di terminare gli studi a Rotterdam. Mariano Speranza è venuto in Olanda per conoscermi e mi ha invitato ad unirmi a loro per un tour in Argentina nel 2011: quindi, un mese dopo il diploma, ho fatto il mio primo concerto con Tango Spleen al Festival di La Falda in Argentina.

Dopo tanti anni insieme e centinaia di concerti in tutto il mondo, questo gruppo continua a stupirmi e a rigenerarsi anche se, come sappiamo, l’Italia non è il paese più agevole per fare della musica una professione vera.

Alcuni ricordi notevoli: il primo concerto con il tenore argentino Marcelo Alvarez a Mosca; l’applauso di una pista di 1500 tangueros al Festival di Tarbes in Francia; la prima volta al Teatro Rossetti di Trieste.

Quando ero bambino i miei genitori mi portavano in quel teatro alle serate della Società dei Concerti forse sperando che anch’io un giorno mi sarei esibito su quel palco prestigioso, certamente non immaginando che lo avrei fatto un giorno con questo strumento strano.

Di questo ricordo mi rimane la gioia di mia madre in platea e il rammarico che mio padre – grande amante della musica – ci abbia lasciato troppo presto per essere li con me in quella occasione.

Vuoi raccontarci come fai per preparare un nuovo brano? Qual è il tuo metodo di studio?

Non so se c’è una ricetta universale. In generale per prima cosa ho bisogno di conoscerlo, ne ascolto delle registrazioni, cerco di familiarizzare con la musica e capirne il senso. Solo dopo prendo in mano lo strumento.

Dal punto di vista tecnico, il mio principio fondamentale è isolare le difficoltà e trovare soluzioni creative per evitare il più possibile di consolidare gli errori. E’ soprattutto un lavoro mentale.

E poi credo sia fondamentale essere coscienti che “studiare” è diverso da “suonare”: il miglioramento tecnico non avviene semplicemente suonando un brano più e più volte, ma con un lavoro specifico e mirato sulle difficoltà tecniche. In questo i musicisti dovrebbero imparare molto dagli atleti.

Sappiamo che proponi un concerto per bandoneón solo, “il respiro di due continenti”: di che cosa si tratta?

È un concerto raccontato. Il programma è piuttosto vario, dal tango tradizionale a Piazzolla, folklore argentino, musica classica. Il protagonista è il bandoneón, che diventa una specie di compagno di viaggio che si esprime attraverso il suo respiro.

E’ un respiro ampio, sia per la varietà di generi musicali che propongo, sia per l’ideale percorso che ci porta dall’Europa, dove lo strumento è nato, al Sud America dove si è affermato, e di ritorno in Europa e nel resto del mondo dove si propone oggi come uno strumento completo con cui affrontare anche altri generi musicali.

Francesco Bruno, bandoneonista italiano e le sue proposte musicali.

È un concerto piuttosto intimo, in cui tra un brano e l’altro racconto qualcosa di questo viaggio musicale e della mia esperienza. Una volta l’abbiamo proposto come intermezzo a metà di una milonga, e mi ha sorpreso l’attenzione e la partecipazione del pubblico che per un’oretta ha messo da parte il ballo e mi ha accompagnato in questo percorso tutto musicale.

3 musicisti che sono (o che sono stati) fondamentali per la tua formazione.

Ce ne sono diversi, a vari livelli. Se parliamo della musica che non ho mai potuto smettere di ascoltare potrei citare Antonin Dvorak, Simon & Garfunkel o magari il Sexteto Mayor.

Rientrando invece nel contesto del mio percorso di formazione bandoneonistica sicuramente Victor Villena, che è stato il mio insegnante principale di bandoneón a Rotterdam. Victor mi ha insegnato i pilastri fondamentali dello strumento, sia dal punto di vista tecnico sia interpretativo. Parlo di tutte quelle cose che sono difficilmente accessibili ad un autodidatta, la tecnica profonda che va al di la della tastiera.

Poi più che un musicista inserirei un gruppo, che è la Tango Spleen Orquesta nel suo insieme, in particolare Mariano Speranza e Andrea Marras, dai quali ho appreso il significato del fare musica. Due personalità complementari, capaci insieme di fare una musica che va sempre alla ricerca di un senso, di una giustificazione.

Infine tutti gli studenti del Codarts che ho conosciuto e con cui ho suonato durante i miei anni in Olanda. A prescindere dalla qualità artistica di ciascuno, grazie a loro ho sperimentato una visione internazionale del fare musica, un continuo confronto di culture e di mentalità, la consapevolezza di far parte di un mondo – non solo musicalmente – molto più ampio e ricco rispetto a quello dove ero cresciuto.

Cosa consigli a chi desidera iniziare lo studio di questo strumento?

Consiglio di provarci. Magari anche solo per rendersi conto che non è il tipo di strumento che fa per loro, o che non hanno abbastanza tempo da dedicarvi o che, per qualsiasi altro motivo, la cosa non funziona. Ma non c’è niente di peggio che covare un desiderio senza provare a soddisfarlo. Se poi invece si riesce bene, tanto meglio.

Un altro consiglio è quello di affidarsi ai consigli di un esperto nella scelta dello strumento. Il mercato dei bandoneón è una nicchia ristretta, quasi sempre si tratta di compravendite da privati, è necessario saper valutare le condizioni dello strumento e il suo valore reale.

Infine, specie se non si è già musicisti, rivolgersi ad un bravo insegnante, ci sono molti aspetti tecnici poco intuitivi nella tecnica di questo strumento.

E naturalmente occorre armarsi di pazienza, soprattutto all’inizio quando si litiga un po’ con le tastiere.

Quali prospettive vedi per questo strumento?

Credo che il potenziale del bandoneón, in particolare al di fuori del Tango, sia ancora largamente inespresso. In questi anni ho partecipato a progetti di musica classica e contemporanea, di rock progressivo, di musica leggera e cantautoriale, e mi sono reso conto che grazie alla sua versatilità espressiva il nostro strumento può indossare molti abiti diversi.

Naturalmente per avventurarsi in altri generi occorre prima di tutto una certa padronanza tecnica e la sensibilità per capire la giusta interpretazione, per capire quale contributo originale possiamo dare alla musica.

Credo ci sia abbastanza strada ancora da percorrere, e questo cammino inizia ovviamente dallo studio e dalla formazione. Mi fa piacere vedere che anche in Italia, come già avviene ad esempio in Olanda o in Francia, iniziano a prendere forma dei corsi strutturati e iniziative didattiche di buon livello. La sfida, a mio parere, si gioca sulla capacità di attrarre i giovani, che possono avere tempo, dedizione ed energia da investire nello studio.

Francesco Bruno, bandoneón - bandoneonista italiano diplomato al CODARTS di Rotterdam.

L’altra incognita riguarda gli strumenti. Abbiamo strumenti d’epoca che hanno ormai un secolo e sono sempre più difficili da reperire. Abbiamo strumenti odierni che spesso non riescono a replicare quel particolare timbro che tutti vanno cercando.

Non è ancora chiaro, almeno a me, quale sarà lo strumento del futuro. Senz’altro però, se la comunità dei bandoneonisti riuscirà a crescere sia nel numero che in termini di qualità, si potranno forse creare le basi per investimenti sullo sviluppo di strumenti nuovi di qualità sempre migliore.

Quali sono i tuoi nuovi progetti?

Oltre all’attività consolidata con Tango Spleen, sto intraprendendo un studio approfondito sulla musica “antica”: Bach, Frescobaldi, etc.. C’è un largo repertorio che è adatto al bandoneón ma che è stato quasi sempre relegato a materiale di studio tecnico.

Mi piace l’idea invece di affrontare quel materiale partendo dalla musica e confrontarmi con quel linguaggio mettendo il bandoneón a servizio di quel repertorio, piuttosto che il contrario. È un percorso impegnativo, ma i risultati sono gratificanti.

E poi c’è l’altro grande progetto che abbiamo iniziato insieme, La Bottega del Bandoneón. Con questo progetto vogliamo contribuire a diffondere la cultura del bandoneón in Italia, oltre che offrire servizi di assistenza e riparazione, noleggio, lezioni di bandoneón. Questo è un importante progetto che ci darà tante belle soddisfazioni.

Intervista pubblicata per la prima volta nel 2020 nel blog di Omar Caccia e aggiornata per la Bottega del Bandoneón.

Potrebbe interessarti anche:

Intervista a Omar Caccia, Bandoneón

Omar Caccia, Bandoneòn tra Italia e Argentina. In questa intervista Omar Caccia ci racconta il suo…

Intervista a Baltazar Estol

Baltazar Estol e i suoi bandoneón nuovi “made in Argentina” Qualche anno fa, quando…

Intervista a Claudio Constantini

Bandoneón, pianoforte e amore per la Musica. In questa intervista a Claudio Constantini conosceremo…

Estensione del bandoneón

L’estensione del bandoneón copre quasi 5 ottave. L’estensione del bandoneón è…

Qual’è la Sedia Giusta per Studiare il Bandoneón?

La sedia corretta permette di suonare il bandoneón senza lesioni e limitazioni tecniche. Sebbene…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *